una rilettura di don Milani nelle lettere della famiglia*
L’originalità ed eccezionalità di don
Lorenzo Milani nella Chiesa italiana degli anni Cinquanta e Sessanta è stata
riconosciuta ampiamente; questa non è dovuta solo alla radicalità della sua
scelta evangelica, ma forse in primo luogo al fatto che il suo impegno
evangelico di testimonianza è vissuto guardando la Chiesa e il mondo cattolico
con un occhio esterno, per così dire, che gli permette
di vedere realtà che altri non riescono a percepire perché troppo interni a
quel mondo e a quella mentalità.
Significativo il giudizio di Milani su
un volumetto di Mazzolari sulla crisi della parrocchia, che pure era un testo
importante per il dibattito di quegli anni, edito negli stessi anni di Esperienze
pastorali; egli sottolinea la profonda diversità di approccio,
l’ampiezza della sua ricerca e l’impossibilità di paragonare i due volumi.1
Anche la prefazione di D’Avack a Esperienze pastorali,
pur condividendo molte linee del volume di Milani, non sembra cogliere in
profondità la radicalità di tanti giudizi, in particolare sulla
secolarizzazione e sul clericalismo degli atteggiamenti di ecclesiastici e
laici.
Esterno al mondo
ecclesiale
In seminario, come ha riconosciuto
Piovanelli, rivolgendosi a Milani, – «non sempre, non subito ti abbiamo
capito»; «il tuo chiarissimo anticipo, la nostra lentezza al futuro sono stati,
forse, il motivo della tua croce nella Chiesa» –.2 Il motivo più
profondo dell’incomprensione, anche da parte degli altri seminaristi, era nella
estrazione contadina della gran parte degli allievi, che erano entrati in
seminario da bambini o adolescenti; la loro educazione era avvenuta
nell’ambiente separato e lontano del seminario, che aveva un’impostazione
teologica chiusa alle riflessioni provenienti dalla cultura anche teologica
europea, con una spiritualità severamente ascetica, incentrata sulle cosiddette
virtù passive, senza contatti e sollecitazioni provenienti dal mondo esterno
che quei giovani non erano preparati a comprendere.
Lo sguardo esterno di don Milani, così
profondamente laico, è dovuto alla sua origine familiare come è stato
sottolineato in più occasioni, così lontano dalla mentalità ecclesiastica
profondamente autoreferenziale. Il volume di Valeria Comparetti Milani sulla
famiglia Milani offre molti elementi nuovi di grande interesse.3
Infatti, scrive Valeria Comparetti: «La
narrazione su don Milani all’interno della sua stessa famiglia non ha mai
incluso la figura del padre Albano. Questo sacerdote è parso quasi orfano di
padre fino a ora» (100). Si è fatto molte volte riferimento alla forte
influenza materna, Alice Weiss, all’ambiente mitteleuropeo triestino dal quale
proveniva; parente di Edoardo Weiss, allievo di Freud e fondatore della Società
italiana di psicoanalisi, e di Italo Svevo, fu per suo tramite che Alice studiò
inglese con James Joyce che in quegli anni viveva a Trieste.
Un’altra caratteristica, ripetutamente
sottolineata, è l’influenza della tradizione del nonno paterno Domenico
Comparetti, filologo noto internazionalmente. In realtà, nota giustamente
Valeria Comparetti Milani, quel nonno ebbe un’influenza notevole sul padre di
Lorenzo, Albano, mentre è poco significativo il suo rapporto con i nipoti
Adriano e Lorenzo perché morì quando questi avevano pochi anni. L’attenzione
all’importanza della parola, alla filologia, poteva piuttosto derivare dalla
frequentazione di Giorgio Pasquali, amico di famiglia e personale di Lorenzo.
Ma
l’importanza della parola e l’acquisizione di capacità logiche e linguistiche
erano alla base della educazione familiare in casa Milani. Il volume ci offre
notizie molto significative. Grande era l’attenzione al possesso di un
vocabolario molto ampio, all’acquisizione delle lingue straniere, tedesco,
inglese e francese, oltre il latino, alla capacità d’argomentare e d’esprimere
con ampiezza di tematiche e sfumature le proprie opinioni.
C’era un libro del bébé dove Alice
annotava i progressi intellettuali di Lorenzo; nel marzo 1929 descriveva
Lorenzo come «cresciuto molto sviluppato di mente – diventa ragazzo. Nel marzo
del 1928 ha imparato col babbo in poche settimane a scrivere a macchina, ora
scrive correttamente e abbastanza rapidamente e sa leggere lo stampatello.
Colpisce la chiarezza e la logica della sua parola» (25).
Prima dei due anni cantava in tedesco e
contava fino a cinque (cf. 26). Uno dei giochi in famiglia era quello del
«dizionario etimologico: uno dei giocatori sceglieva una parola, gli altri
giocatori dovevano trovarne sia il significato che l’etimologia».
Anche sulla base della sua
frequentazione della nonna, credo, Valeria Comparetti, sostiene che «Alice
sapeva dimostrare il suo affetto esclusivamente dando un’attenzione
intellettuale, ella non aveva carezze, ma le sue domande precise e il suo
sguardo penetrante e fermo interrogavano l’altro. Ella sapeva dare attenzione
quanto negarla totalmente a coloro che non considerava all’altezza. Lorenzo fin
da piccolissimo l’aveva affascinata con la sua capacità dialettica e narrativa,
la limpidezza del suo ragionare» (26).
Educazione religiosa
e persecuzioni razziali
In questo quadro familiare si comprende
meglio il titolo del volume Carezzarsi con le parole
e l’importanza anche affettiva dell’acquisizione della parola che, anche come
parroco a Barbiana, Milani avrà nell’educazione dei suoi ragazzi, in
particolare a Barbiana. Si può così comprendere meglio anche la profonda
differenza tra Milani e tanti parroci di campagna che da decenni, forse da
secoli, avevano assunto una qualche funzione di alfabetizzazione dei figli di
contadini.
Ma la prospettiva era profondamente
diversa; non si trattava soltanto di dare alcuni strumenti per permettere loro
di lavorare anche fuori dai campi, per Milani significava dare la parola ai
poveri perché potessero esprimere una propria cultura.
Alice era ebrea, ma si considerò sempre
agnostica; molto interessante è la definizione di questo atteggiamento in uno
scritto di Albano del 1928. «A mio avviso la civiltà moderna tende sempre più
alla seguente posizione di principio rispetto al pensiero religioso: non negare
e non affermare (…) Trovo del resto che la classificazione in materialismo,
spiritualismo, idealismo e simili non si presta più per definire l’atteggiamento
dell’uomo moderno. L’uomo moderno può essere al tempo stesso partecipe di tutti
questi atteggiamenti, perché lo stato attuale delle cognizioni scientifiche non
permette di preferire o di escludere alcuni di essi. In ciò si potrebbe
ravvisare forse un agnosticismo, ma non sarebbe esatto, o almeno questa parola
dovrebbe essere intesa in un senso alquanto diverso da quello che è stato
consacrato» (44).
I genitori decisero di non dare
un’educazione cristiana ai loro figli; ad esempio alla fine di dicembre veniva
organizzata una piccola festa per i bambini con l’addobbo dell’albero e veniva
chiamata «la festa dell’albero», invitando amici come Rosselli, Olschki,
Lessona, Vogel, Trigona, senza alcuna distinzione confessionale (cf. 47).
Nei primi anni Trenta i Milani si
rendono conto che potevano avvicinarsi dei rischi di persecuzioni per gli ebrei
e decidono di battezzare i figli. Da sottolineare il rapporto molto buono con
il parroco Viviani che aveva la pieve vicino alla tenuta di Gigliola; infatti,
questi registra i battesimi come avvenuti al momento della nascita,
falsificando i registri parrocchiali.
Alice non riceve il battesimo. Albano
avrebbe ottenuto nel 1940 un attestato di non appartenenza alla razza ebraica
per i figli (cf. 49). Il matrimonio di rito cattolico avveniva nel 1938; nel
1939 Alice aveva con un atto notorio donato le sue proprietà al marito e nei
primissimi anni Quaranta la famiglia si trasferiva stabilmente a Gigliola dove
poteva contare su una certa solidarietà.
Il volume ricostruisce il clima e
l’ambiente familiare e dedica un interesse peculiare ad Albano, pubblicando
anche una serie di lettere molto significative scritte da Albano ad Alice nel
luglio-agosto del 1944, quando la moglie era scesa a Firenze per prudenza al
momento del passaggio del fronte. Purtroppo molte lettere sono andate perse, in
particolare mancano quelle tra Albano e Lorenzo e quelle con i fratelli Adriano
ed Elena.
L’ambiente rurale
L’appendice con un gran numero di foto e
documenti permette di comprendere meglio l’ambiente di Gigliola e la famiglia.
Nella copertina è riprodotto un olio su tela di Lorenzo che riprende la
fattoria di Gigliola, che ha la stessa prospettiva di un disegno del padre
Albano riprodotto in foto nell’appendice. Un particolare significativo emerge
da questa ricostruzione dell’ambiente rurale di Gigliola e dei rapporti di
Albano con i contadini.
Pipetta era il nome di un operaio
agricolo di Gigliola che lavorava anche a ripulire l’ambiente dopo il passaggio
della guerra; questo doveva essere un soprannome piuttosto diffuso nelle
campagne toscane, si trova a Montespertoli come a San Donato. Infatti è rivolta
a un Pipetta la famosa lettera del 1950; in realtà si trattava di Italo
Bianchi, attivista del PCI e allievo della scuola serale di Calenzano, al quale
però non era stata mai consegnata, perché in realtà l’avrebbe conosciuta solo
nel 1970.4
Nel volume c’è anche un saggio di
Francesco Fusi che chiarisce con accuratezza il ruolo di Albano come notabile a
Montespertoli tra guerra e liberazione, il suo ruolo come «possidente e
amministratore» tra le due guerre e il suo rilievo sociale ed economico che
faceva sì che avesse un ruolo sia nei confronti del CLN sia dei tedeschi e poi
degli alleati.
Una posizione di mediazione e talvolta
di «voluta doppiezza», analoga a quella del barone Leone De Renzis Sonnino, nel
cui castello di famiglia era installato il comando tedesco nella piazza di
Montespertoli, mentre il figlio Lodovico, come Adriano Milani, sono impegnati
nella Resistenza in Giustizia e libertà e nella organizzazione di radio Co.Ra
(183).
Dopo la Liberazione Albano viene
nominato assessore all’istruzione, mentre il suo impegno politico si dirigerà
verso il Partito liberale e in particolare sui temi agrari; egli avrebbe
accanitamente difeso la mezzadria in un momento nel quale veniva posta
fortemente in discussione. Va anche notato che riconosceva i limiti generali
dell’organizzazione agraria e mezzadrile, mentre nella sua tenuta i contadini
avevano la luce elettrica e l’acqua corrente nelle case.
Corzo afferma che queste posizioni
politiche forse sono all’origine di «motivi di dissenso con la mentalità del
padre», per cui certe pagine di Esperienze pastorali
potrebbero essere lette come più drammatiche (cf. 8). In realtà la
contrapposizione è ideale, forse ideologica, ma non affettiva nei confronti del
padre, come lo stesso Corzo ribadisce. Il colloquio con il padre è profondo;
questi gli invia nel 1946 alcuni scritti su Il Castello
e su Il Processo di Kafka,
che ancora non era conosciuto in Italia.5 È un peccato che queste
lettere siano andate perse.
Un padre che legge
di dogmatica
Vorrei
dedicare un po’ di attenzione agli scritti di Albano sulla religione. Giustamente
nota Valeria Comparetti: «L’attenzione e l’interesse di Albano per lo studio
delle religioni e particolarmente di quella cattolica, non solo sotto un
profilo storico e antropologico, ma anche della teologia, della dogmatica e
della mistica, deve farci riconsiderare la formazione religiosa di don Milani e
quindi la sua conversione. La generale rimozione di questa figura paterna ha
determinato una narrazione semplificata della cultura della famiglia Milani
Comparetti e quindi delle origini di don Milani» (63).
Nello scritto sulla religione del 1928
Albano scriveva di aver avuto «una regolare educazione cattolica», anche se la
famiglia non era frequentante; descriveva così l’atteggiamento del padre e
della madre: «Egli era studioso di religioni antiche e ho avuto a suo tempo
l’impressione che il suo sentimento religioso fosse profondo nel senso di
toccare alla radice tutte le religioni (…) Però tanto mio padre che mia madre
erano profondamente cristiani, perché la loro bontà era cristiana» (60).
Dopo aver ricordato la formazione
scientifica, prevalente nella sua famiglia, e il dubbio come parte centrale del
suo pensiero sulla idea religiosa e sulla divinità, affermava della preghiera:
«Così dunque ricordo come si è formato un atteggiamento di fronte all’idea religiosa
che poi nella sostanza ho mantenuto fino a ora. Ricordo anche che ho subito
scartato ogni pensiero di colpa per il mio dubbio (…) Si noti che questo
atteggiamento non esclude un certo raccoglimento, un certo fervore, e un certo
sollievo nella preghiera. L’uomo si sente umile davanti alla grandezza
dell’universo e tanto più di fronte al concetto della divinità che domina
questo universo. Umile e fiducioso che se la divinità misteriosamente è
sensibile alla preghiera, da lei può venire il massimo soccorso» (61).
Ancora
più approfondito è l’interesse verso il cristianesimo nello scritto del 1941.
Diverso è il tipo d’approccio, mentre nel 1928 la sua era una prospettiva
culturale in senso lato, nel 1941 i suoi studi sono legati a una necessità
d’approfondimento religioso; Albano osserva che sono passati dieci anni dal
precedente saggio, ma «così pieni di eventi e di trasformazioni nel mondo
intero da contare nella vita di un uomo quanto un periodo assai più lungo». In
un passato non lontano, egli osserva, «poteva quindi sembrare a molti che
l’umanità fosse entrata nell’ascensione del progresso, in una zona più elevata
che le garantisse ormai di vivere più pacatamente nel segno di un materialismo
o razionalismo a lei sufficiente anche dal punto di vista morale (…) Oggi che
vediamo cessata la fase euforica, possiamo meglio comprendere il profondo
significato di umana superbia, come è considerato dalla Chiesa, peccato
iniziale e basilare che necessariamente conduce alla perdizione».6
Da questi interrogativi esistenziali
Albano cercava un approfondimento relativo «all’arcano infinito dei concetti di
creazione, morte, sopravvivenza, e del bene e del male. Mi sono accorto che
troppo imperfettamente sapevo che cosa la Chiesa prescriva di credere e per la
prima volta ho sentito la curiosità di approfondirlo. Mi sono pertanto
procurato qualche libro di teologia dogmatica, dapprima Die
Lehre der Kirche del Junglas, poi il compendio latino del Tanquerai
(sic) per la dogmatica e per la morale e
diversi altri libri e testi. Questa lettura mi ha interessato moltissimo se
anche non posso dire che mi abbia portato molta luce interiore o che abbia
sostanzialmente modificato il mio habitus mentis nei
riguardi del problema religioso».7
Sono indicazioni importanti; va
sottolineato che i testi richiamati, che sono solo alcuni tra quelli presi in
esame, sono dei classici che erano anche in uso in molti seminari. Balducci in
quegli anni, secondo alcune testimonianze di compagni di studi, studiava sui
testi di Tanquerey, anche se gli studenti non possedevano ciascuno un volume, e
lo studio si svolgeva di fatto sugli appunti.
Egli poi sceglieva di approfondire i
suoi studi sul Compendio di teologia ascetica e mistica
di Tanqueray che richiama con annotazioni più volte nei suoi Diari.8
In realtà Albano Milani non sembra leggere questo Compendio,
molto diffuso in Italia almeno fino al Concilio, ma scrive di «compendio
latino», forse l’edizione brevior9
del corso completo di teologia dogmatica e morale pubblicato da Desclée e dagli
editori pontifici che veniva propagandato con evidenza su La
Civiltà cattolica del 1907;10 un testo importante e molto
autorevole, anche dal punto di vista della sicura ortodossia.
Il magistero
e l’interpretazione
del credente
Johannes Peter Junglas era un patrologo
noto, i suoi lavori su Leonzio di Bisanzio vengono ancora richiamati come
autorevoli,11 il volume citato da Albano Milani aveva avuto grande
diffusione e diverse edizioni, anche La Civiltà cattolica
lo recensiva con elogio nel 1938,12 sottolineando che, non essendo
in latino, non era destinato ai seminari ma ai laici colti, anche per
l’«odierna lotta suscitata dal paganesimo rinato», non esiste una traduzione
italiana; come è noto Albano leggeva i testi in lingua originale.
Nel saggio Albano proseguiva con
notazioni di grande acutezza: «Questa lettura mi ha interessato moltissimo (…)
e mi è piaciuta moltissimo la trattazione dei problemi fondamentali e dei dubbi
d’interpretazione che sono stati dibattuti dai padri della Chiesa e poi dai
concili e non mi stancherei di leggere gli scritti più eminenti su questo
argomento, specialmente quelli dei primi secoli, quando molte interpretazioni
non erano ancora condannate e la discussione era libera, spontanea e feconda.
Perché la prima impressione che mi ha fatto
la lettura della dogmatica è stata di sorpresa che su tanti e fondamentali
problemi il magistero e i concili siano venuti restringendo il campo in cui
possa spaziare l’interpretazione del credente. Mi è parso strano che possa
essere condannato oggi quel che era permesso a un Tertulliano prima di essere
egli stesso condannato, o a un S. Agostino che non è mai stato condannato».13
È un’osservazione di rilievo, perché
leggendo storicamente le fonti della patristica e della dogmatica cristiana
evidenzia un problema fondamentale presente nella tradizione cristiana: come
con il processo di definizione dell’ortodossia si sia progressivamente tolto
spazio all’interpretazione e anche alla libera riflessione dei credenti.
Ma se questa poteva essere una
osservazione che scaturiva naturalmente come constatazione storica, le note
aggiuntive evidenziano come Albano Milani non si accontentasse di rilevare
queste come contraddizioni, ma si preoccupasse di giustificare in qualche modo
questa evoluzione storica, dandone una qualche giustificazione logica e
salvifica per così dire, come avrebbe potuto fare uno storico che fosse anche
un fine apologeta.
Notava infatti che la formula di
condanna dei concili «si quis dixerit» non
era «“si quis putaverit o cogitaverit”, bisogna
che abbia manifestato e trasmesso la sua adesione alla interpretazione
condannata per divenire egli stesso passibile di esclusione».
Quella formula allora a lui sembrava
usata dalla Chiesa per «salvare i suoi padri» anche perché «il loro errore era
inconsapevole».14 Ma anche riconosceva che «gran parte dei capisaldi
del dogma è contenuta nei Vangeli in forma così succinta e che si presta a così
varia interpretazione che ben si comprende che migliaia e migliaia di menti
religiose e credenti che hanno cercato di definire il dogma di ciascuna
enunciazione rivelata siano arrivati a conclusioni assai diverse».15
Buoni motivi per credere
Si trova anche un’ampia digressione su
come si «possano conciliare le esigenze della ragione e quelle della fede»,
proponendo brani di Seneca, sull’immortalità, su Iddio come «mente
dell’universo»,16 sul miracolo come evento possibile.17
Sulla conoscenza tramite l’Antico e il Nuovo Testamento, Albano ribadiva che
l’ispirazione divina era da intendersi «non dunque nel senso che ogni singola
parola sia dettata da Dio», anche se osservava che «nelle dimostrazioni
dogmatiche ci si basa su ogni singola parola, quando si procede a scegliere fra
varie possibili interpretazioni». Comunque concludeva che «la ragione suggerisce
una presa di posizione non preconcetta, nel senso di non respingere l’ipotesi
che i testi sacri contengano effettivamente la rivelazione e sostanzialmente
almeno manifestino all’uomo la volontà divina».18
Ancora più esplicita è la sua
ammirazione per la figura di Gesù: «La parte essenziale della rivelazione è
quella contenuta nei Vangeli che all’agnostico presentano Gesù come uomo di
intelligenza tanto eccelsa e di vita così grandiosa da offrire per così dire
alla ragione stessa l’invito ad ammettere la possibilità di un’essenza divina
(…) Non vi è possibilità di dimostrare razionalmente che il referto apostolico
non sia veridico e nel complesso vi è tale concordanza, tale spirito di
sincerità e disinteresse, semplicità e spontaneità da dare l’impressione di
verità e attendibilità a chiunque lo legga con animo non preconcetto. Sta
dunque a ciascuno di accogliere o non accogliere con fede la sostanza e i
particolari, o solo la sostanza della rivelazione evangelica, ma per colui che
è alla ricerca di motivi di fede non è difficile di accogliere come veridico il
referto apostolico».19
Ho cercato di esporre in modo analitico
alcuni brani del pensiero di Albano perché, se come molte fonti e lo stesso
volume di Valeria Comparetti dimostrano, c’era un profondo scambio di temi e
argomenti nella famiglia Milani; queste osservazioni, scritte negli anni della
guerra non potevano essere sconosciute al giovane Lorenzo; mi sembra anzi che
si possa affermare che ci sono assonanze significative.
Un altro elemento significativo della
vicinanza e anche della comprensione per la scelta religiosa di Lorenzo è la
poesia che il padre Albano scrive per «suo figlio che riceve l’abito
sacerdotale», è del 10 gennaio 1944 (cf. 95s).
Il volume ci presenta un altro testo del
padre di Lorenzo sul tema della religione: è del 1946 ed è sul «culto della
Madonna in senso cattolico». C’è una testimonianza di uno scambio di opinioni
tra Lorenzo e il padre su uno scritto di quest’ultimo relativo alla «vicinanza
della donna all’ordine della creazione». Quel testo è andato disperso, ma un
altro dello stesso periodo parla dell’«immensa portata umana, così conforme
allo spontaneo sentimento dell’uomo verso la madre», di questa «devozione così
diffusa, così veramente popolare, così universale anziché locale» (97-99).
Ma forse uno degli elementi di maggior
interesse di queste osservazioni è dato dal fatto che traggono ispirazione da
un autore di grande rilevanza, John Henry Newman; il riferimento sembra alla Apologia
pro vita sua del 1864; un autore e un testo che non erano ancora
molto noti in Italia. Nelle lettere di Albano alla moglie, tutte di grande
interesse, alcune note devono essere sottolineate; il marito scrive alla moglie
tutti i giorni, dà molte notizie, ma non ci sono quelle affettuosità che pure
ci si poteva aspettare.
Particolarmente interessante è la
lettera del 23 luglio 1944, nella quale afferma d’essere andato a messa alla
Pieve; ciò non sembra comportare un’adesione confessionale, forse piuttosto
l’espressione di una vicinanza con gli abitanti della zona in un periodo
difficile: «Sento il dovere di stare qui con i nostri dipendenti che guardano a
me come al loro capo e al loro protettore nella grande burrasca» (116-18).
Anche il saluto finale è molto
significativo: «Tanti baci, cara coccola mia». È l’unica volta che si trovano
espressioni così affettuose mentre prevale un autocontrollo che sembra negare
le affettuosità, come suggerisce anche il titolo del libro, Carezzarsi
con le parole.
Nelle lettere c’è anche un riferimento
alla presenza di Lorenzo: «Mi è carissima e dolce compagnia e sta molto attento
a me e a tutti». Un’ulteriore conferma di un forte rapporto tra padre e figlio
che era stato oscurato dalla carenza di documentazione; ora l’immagine
complessiva di Lorenzo oltreché della sua famiglia ne esce profondamente
arricchita.
Bruna
Bocchini
* Il testo è un'anticipazione dell'articolo che verrà stampato sul n. 12/2017 de Il Regno attualità.
1 «Lettera ad Arturo
Carlo Jemolo», Barbiana 7.9.1958, ora nella importante edizione critica, Don
Lorenzo Milani. Tutte le opere, diretta da Alberto Melloni, a cura di
Federico Ruozzi e di Anna Canfora, Valentina Oldano, Sergio Tanzarella, «I
meridiani», Mondadori, Milano 2017, tomo II, Lettere (1928-1967),
a cura di Anna Carfora e Sergio Tanzarella, 539.
2 Prefazione, di mons.
Silvano Piovanelli, in M. Sorice
(a cura di), A trent’anni da Esperienze pastorali
di don Lorenzo Milani, Giunta regionale Toscana, Franco Angeli,
Milano 1990, 10.
3 V. Milani Comparetti, Don Milani e suo padre.
Carezzarsi con le parole. testimonianze inedite dagli archivi di famiglia.
Prefazione di José Luis Corzo, Saggio storico di Francesco Fusi, Edizioni
conoscenza, Roma 2017.
4 «Lettera a Pipetta»,
San Donato a Calenzano 1950, in Don Lorenzo Milani,
tomo II, 147-149. Nel volume Milani Comparetti riferisce che la nonna, Alice
Weiss sosteneva che «Pipetta era di Gigliola e non di Calenzano», 79.
5 «Lettera al padre»,
18.8.1946, da Trepalle, in ivi, 74s.
Nell’archivio Comparetti, come annota Valeria, c’è una bozza di lettera, non
datata, di Albano a Max Brod, curatore testamentario di Kafka, nella quale
offriva la sua traduzione e chiedeva l’autorizzazione alla pubblicazione in
Italia (p. 63 nota 19)
6 Ringrazio Valeria
Milani Comparetti per avermi permesso di leggere i due files,
del 1928 e del 1941, conservati nell’archivio di famiglia e in parte riprodotti
anche nel volume. Questo testo è datato 26/II 1941. Queste osservazioni sono
alle pp. 1 e 2.
7 Ivi,
3.
8 A. Tanqueray, Compendio
di teologia di ascetica e mistica, Desclée, Paris 1927; Balducci lo
segna tra i volumi letti autonomamente, come approfondimento, nel febbraio
1944, cf. E. Balducci, Diari,
tomo II, 1940-1945, a cura di M. Paiano, L. Olschki, Firenze 2004, 283-284 e
note, anche a 354 e nota. Nel primo volume dei Diari
1940-1945, sempre a cura di Paiano, edito nel 2002, a p. 253 si accenna,
sul tema della dogmatica, in modo impreciso a «Tanquerey II», forse quindi
riferendosi ai due volumi, in più tomi, del corso completo di teologia
dogmatica e morale cf. note 9 e 10. Sulla testimonianza dei compagni di studi
di Balducci cf. B. Bocchini Camaiani,
Ernesto
Balducci. La Chiesa e la modernità, Laterza, Roma – Bari 2002, 6.
9 A. Tanquerey, Brevior
synopsis theologiae dogmaticae, edita dalla Desclée nel 1911 e al
quale seguiva Brevior synopsis theologiae moralis et pastoralis
del 1913. Una conferma della grande diffusione di queste opere è nel catalogo
del Fondo Ireneo Chelucci (1882-1970) dapprima rettore del seminario di
Pistoia, dal 1920 al 1938, poi vescovo di Montalcino dal 1938 al 1967,
pubblicato in F. Cosci, S. Gatto
(a cura di), Chiesa e cultura nel Novecento.
Un sacerdote, un vescovo, una biblioteca. Ireneo Chelucci tra Pistoia e
Montalcino (1882-1970), Herder, Roma 2002. Nel catalogo figurano,
alle pp. 243-245, ben tredici copie di volumi di Tanquerey, due copie della
versione brevior, dogmatica e morale, dieci copie
della Synopsis, cinque per la parte dogmatica e
cinque per la morale, tra queste la copia edita nel 1906-7 mentre le altre sono
edite tutte negli anni Venti; poi un testo in italiano su Le
grandi verità cristiane che generano nell’anima la pietà, Desclée,
Roma 1930.
10 La
Civiltà cattolica, 58(1907), III, n.1374, 21 settembre. Il titolo
che vi figurava era Synopsis theologiae dogmaticae,
in tre volumi edito in realtà per la prima volta nel 1894-96, e la Synopsis
theologiae moralis et pastoralis, in tre volumi edito nel 1902 da
Desclée, l’edizione del 1906-7 era in collaborazione con gli editori pontifici.
11 Leonzio di Bisanzio, Le
opere. Introduzione, traduzione e note a cura di Carlo Dell’Osso,
Città Nuova, Roma 2001. J.-C. Larchet,
«La questione cristologica riguardo al progetto d’unione della Chiesa ortodossa
e delle Chiese non calcedonesi: problemi teologici ed ecclesiologici in
sospeso», traduzione del saggio dell’autore pubblicato in Le
Messager orthodoxe, 43(2000), II, 134, 3-103.
12 La
Civiltà cattolica, 89(1938), I, n. 2106, 19 marzo, 551.
13 File
del testo di Albano Milani sulla religione del 1941, cf. nota 6, 2s.
14 Ivi,
3.
15 Ivi,
4.
16 Ivi,
5.
17 Ivi,
14s.
18 Ivi,
18.
19 Ivi,
20.
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