Ultime
conversazioni: Benedetto loda Francesco
e la Chiesa che cerca nuove forme
Come e dove riflette meglio? chiede Peter Seewald
al Benedetto emerito e ottiene questa amabile risposta: «Alla scrivania, però
quando devo ponderare bene una questione mi distendo sul divano. Lì si può
riflettere tranquillamente sulle cose». Nuova domanda se abbia sempre avuto un
divano nelle vicinanze: «Non posso farne a meno».
Il teologo Ratzinger seduto alla scrivania con la
bianca testa tra le mani è il Charlie Brown di tutti noi pensanti. Ma Benedetto
disteso sul divano che pondera il discorso all’ONU o la Deus caritas est o la sorte del cardinale Bertone è il Linus con la
coperta che pure è dentro a ognuno. Geniale e intimidito.
Seguo Ratzinger da quasi cinquant’anni, da quando
Franco Rodano mi disse nel 1969: «leggi Introduzione
al cristianesimo» che quell’anno era stato tradotto in italiano da
Queriniana. Tante sono state nei decenni le vie per cercarlo e per amarlo, non
tutte facili.
Un Ratzinger
sereno
sul monte dov’è salito
sul monte dov’è salito
La polifonia dell’argomentazione che lo
caratterizza. L’invocazione al Signore perché si manifesti. La passione per la
figura di Cristo. La teologia della carità, che trova un prolungamento
provvidenziale nella pastorale della misericordia di Francesco.
Aggiungo ora alle vie per capirlo queste Ultime conversazioni appena pubblicate
in tutto il mondo e in Italia da Garzanti. Ho avuto la fortuna di leggerle in
anteprima per il lancio nelle edicole che ne ha fatto Il Corriere della sera il 9 settembre e dunque di goderlo
serenamente, senza le spinte della diatriba che ovviamente si è subito
scatenata. Mi sono anch’io disteso sul divano per una settimana.
Racconto ciò che è venuto a me da questa quieta
ricezione: un Ratzinger sereno sul monte dov’è salito. Umile come sempre e come
sempre severo, ma più libero, che va preparandosi. Ancora guardante avanti e
antivedente. Ci sono anche domande e risposte sulla preparazione alla morte
alla fine del volume. Forse vanno lette per prime: sono alle pagine 224 e
seguente.
Dice d’essere stato contento, anzi «felice»
dell’arrivo di Francesco e conforta questa percezione con quello sguardo in
avanti, sulla necessità dei cambiamenti.
«Significa – l’arrivo di Francesco – che la Chiesa
è in movimento, è dinamica, aperta, con davanti a sé prospettive di nuovi
sviluppi. Che non è congelata in schemi: accade sempre qualcosa di sorprendente,
che possiede una dinamica intrinseca capace di rinnovarla costantemente. Ciò
che è bello e incoraggiante è che proprio nella nostra epoca accadono cose che
nessuno si aspettava e mostrano che la Chiesa è viva e trabocca di nuove
possibilità» (43).
«È evidente – dice in altra pagina – che la Chiesa
sta abbandonando sempre più le vecchie strutture tradizionali della vita
europea e quindi muta aspetto e in lei vivono nuove forme. È chiaro soprattutto
che la scristianizzazione dell’Europa progredisce. Di conseguenza la Chiesa
deve trovare una nuova forma di presenza, deve cambiare il suo modo di presentarsi»
(228).
Contento
anzi «felice»
del successore
del successore
Con libertà parla del successore: «Non ha voluto la
mozzetta. La cosa non mi ha minimamente toccato. Quello che mi ha toccato,
invece, è che già prima di uscire sulla loggia abbia voluto telefonarmi. Il
modo in cui ha pregato per me, il momento di raccoglimento, poi la cordialità
con cui ha salutato le persone tanto che la scintilla è, per così dire,
scoccata immediatamente. Nessuno si aspettava lui. Io lo conoscevo,
naturalmente, ma non ho pensato a lui. In questo senso è stata una grossa
sorpresa. Ma poi il modo in cui ha pregato e ha parlato al cuore della gente ha
subito acceso l’entusiasmo (…) L’ho conosciuto come un uomo molto deciso, uno
che in Argentina diceva con molta risolutezza: questo si fa e questo non si fa.
La sua cordialità, la sua attenzione nei confronti degli altri sono aspetti di
lui che non mi erano noti (…) Quando ho sentito il nome, dapprima ero insicuro.
Ma quando ho visto come parlava da una parte con Dio, dall’altra con gli
uomini, sono stato davvero contento. E felice» (42).
Libero anche nel paragone di sé con Francesco: «Direi
(che mi corregge un poco) con la sua attenzione verso gli altri. Credo sia
molto importante. È certo anche un papa che riflette sulle questioni attuali.
Allo stesso tempo, però, è una persona molto diretta con i suoi simili,
abituata a stare sempre con gli altri. Che non viva nel palazzo apostolico
bensì a Santa Marta, dipende dal fatto che vuole sempre essere circondato dalla
gente. Direi che questo si può ottenere anche su (nel palazzo apostolico), ma è
una scelta che mostra un nuovo stile. Forse io non sono stato abbastanza in
mezzo agli altri, effettivamente. Poi, direi, c’è anche il coraggio con cui
affronta i problemi e cerca le soluzioni» (44).
L’intervistatore insiste sull’impressione della «rottura»
tra i due e la risposta che dà Benedetto è quella che abbozzo anch’io nei
dibattiti che seguono alle conferenze: «Naturalmente si possono fraintendere
alcuni punti per poi dire che adesso le cose vanno in modo del tutto diverso.
Se si prendono singoli episodi e li si isolano, si possono costruire contrapposizioni,
ma ciò non accade quando si considera tutto l’insieme. Forse si pone l’accento
su altri aspetti, ma non c’è alcuna contrapposizione».
Di nuovo si rallegra per la novità: «C’è una nuova
freschezza in seno alla Chiesa, una nuova allegria, un nuovo carisma che si
rivolge agli uomini, è già una bella cosa» (47).
Nessuno mi
ha ricattato
né l’avrei permesso
né l’avrei permesso
Benedetto in queste pagine appare libero, dicevo,
ma anche sereno. Difende la sua rinuncia dai sospetti di pressioni e ricatti: «Nessuno
ha cercato di ricattarmi. Non l’avrei nemmeno permesso. Se avessero provato a
farlo non me ne sarei andato perché non bisogna lasciare quando si è sotto
pressione. E non è nemmeno vero che ero deluso o cose simili. Anzi, grazie a
Dio, ero nello stato d’animo pacifico di chi ha superato la difficoltà» (38).
Segnala d’aver goduto di un soccorso dall’alto nel
grande passo: «In questo genere di cose si riceve un aiuto. Ma per me era anche
chiaro che dovevo farlo e che quello era il momento giusto. E la gente l’ha
accettato. Molti sono grati che adesso il nuovo papa abbia un nuovo stile.
Altri magari mi rimpiangono un po’ ma intanto sono riconoscenti anche loro.
Sanno che il mio momento era passato e avevo dato ciò che potevo dare» (32).
Con la stessa sicurezza risponde alla domanda
sull’opportunità che un papa scriva libri: «Sapevo semplicemente che io dovevo
scriverli (i tre volumi su Gesù). Pertanto non avevo alcun dubbio che avrei
potuto farlo (…) Come da un lato è importante la liturgia in quanto esperienza
personale della Chiesa e tutto si perde quando la liturgia viene snaturata,
così se noi non conosciamo più Gesù è la fine della Chiesa. E il pericolo che
Gesù venga distrutto o svilito da un certo tipo di esegesi è enorme». È
incredibile quanto io sia contento di questa risposta, come a suo tempo esultai
per i tre volumi.
Non riesco a
vedermi
come un fallito
come un fallito
La sua è una serenità che l’aiuta a dire il privato
come mai aveva osato. Nel volume ci sono ricordi dell’infanzia e
dell’adolescenza nella Germania nazista. La scoperta della vocazione, le piogge
della prigionia in un campo americano nei pressi di Ulm alla fine della Seconda
guerra mondiale. Successi e delusioni della carriera universitaria, le
pubblicazioni che ne fanno un «perito» del Vaticano II. Fatti e fatterelli dei
quali aveva già narrato nel volume La mia
vita che è del 1997.
Ma aggiunge curiosità che non erano note. Scrive
solo a matita e mai a penna. In gioventù era amante della bicicletta e continuò
a usarla ogni giorno da professore a Münster, a Tubinga, a Ratisbona. Ma la
lasciò una volta divenuto vescovo: «Non osavo essere tanto originale».
Venendo a Roma si è appassionato alla «pennichella».
Dal 1997 ha un pacemaker ed è
praticamente cieco dall’occhio sinistro a causa di una maculopatia. Racconta
d’essere entrato in conclave – nel 2005 – senza aspettarsi l’elezione: ricordate
il maglione sotto la veste bianca? «In effetti, molti me ne parlarono, ma io
non potei prenderli veramente sul serio. Pensavo: non esiste, è irragionevole».
Il papa emerito appare sereno anche nella difesa
del suo operato: «Il governo pratico non è il mio forte e questa è certo una
debolezza (…) Ci sono sempre state anche difficoltà e pene ma anche tante cose
belle. Così non direi di avere avuto una vita difficile (…) Non riesco a
vedermi come un fallito. Per otto anni ho svolto il mio servizio. Ci sono stati
momenti difficili, basti pensare allo scandalo della pedofilia e al caso
Williamson o anche allo scandalo Vatileaks; ma in generale è stato anche un
periodo in cui molte persone hanno trovato una nuova via alla fede e c’è stato
anche un grande movimento positivo» (221s).
I due papi
si contagiano a vicenda
si contagiano a vicenda
Risponde con schiettezza sulla lobby gay: «Effettivamente
mi fu indicato un gruppo, che nel frattempo abbiamo sciolto. Era segnalato nel
rapporto della commissione di tre cardinali che si poteva individuare un
piccolo gruppo di quattro, forse cinque persone. L’abbiamo sciolto. Se ne
formeranno altri? Non lo so. Comunque il Vaticano non pullula certo di casi
simili» (214).
Chiuso il libretto, godibile e sorprendente, mi è
apparso chiaro che i due papi si contagiano reciprocamente. Se dici «libertà»
viene in mente papa Francesco che in aereo – ma anche a terra – parla con
quella schiettezza. Ma ecco che lo fa alla pari il papa emerito: a gara si
erano spogliati del rosso e a gara liberano la figura papale dai linguaggi
ricevuti che la bloccavano più della tiara.
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