«La preghiera permette alla
grazia di aprire una via di uscita: dalla chiusura all’apertura, dalla paura al
coraggio, dalla tristezza alla gioia. E possiamo aggiungere: dalla divisione
all’unità»: così papa Francesco nell’omelia tenuta questa mattina, nella
Basilica Vaticana alle 9.30, in occasione della Solennità dei santi apostoli
Pietro e Paolo, patroni della città di Roma.
Durante la celebrazione eucaristica il papa ha benedetto i sacri palli (paramenti liturgici costituiti da una striscia di stoffa di lana bianca avvolta sulle spalle, simbolo del compito pastorale di chi lo indossa), destinati agli arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno. Si tratta di 25 presuli dei 5 continenti. 6 sono gli italiani, tra cui mons. Zuppi, arcivescovo di Bologna; mons. Lorefice, arcivescovo di Palermo; mons. Tisi, arcivescovo di Trento; mons. Accrocca, arcivescovo di Benevento; mons. Ligorio, arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo; e il domenicano Lorenzo Piretto, dallo scorso novembre arcivescovo di Izmir (Smirne), in Turchia. La consegna del pallio ai nuovi arcivescovi avverrà nelle loro diocesi per mano dei nunzi apostolici locali, alla presenza dei vescovi suffraganei e dei fedeli.
Durante la celebrazione eucaristica il papa ha benedetto i sacri palli (paramenti liturgici costituiti da una striscia di stoffa di lana bianca avvolta sulle spalle, simbolo del compito pastorale di chi lo indossa), destinati agli arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno. Si tratta di 25 presuli dei 5 continenti. 6 sono gli italiani, tra cui mons. Zuppi, arcivescovo di Bologna; mons. Lorefice, arcivescovo di Palermo; mons. Tisi, arcivescovo di Trento; mons. Accrocca, arcivescovo di Benevento; mons. Ligorio, arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo; e il domenicano Lorenzo Piretto, dallo scorso novembre arcivescovo di Izmir (Smirne), in Turchia. La consegna del pallio ai nuovi arcivescovi avverrà nelle loro diocesi per mano dei nunzi apostolici locali, alla presenza dei vescovi suffraganei e dei fedeli.
Di seguito pubblichiamo il testo dell'omelia:
La Parola di Dio di questa
liturgia contiene un binomio centrale: chiusura / apertura. A questa immagine
possiamo accostare anche il simbolo delle chiavi, che Gesù promette a Simone
Pietro perché possa aprire l’ingresso al regno dei cieli, e non certo chiuderlo
davanti alla gente, come facevano alcuni scribi e farisei ipocriti che Gesù
rimprovera (cf. Mt 23,13).
La lettura degli Atti degli Apostoli (12,1-11)
ci presenta tre chiusure: quella di Pietro in carcere; quella della comunità
raccolta in preghiera; e – nel contesto prossimo del nostro brano – quella
della casa di Maria, madre di Giovanni detto Marco, dove Pietro va a bussare
dopo essere stato liberato.
Rispetto alle chiusure, la preghiera appare
come la via di uscita principale: via di uscita per la comunità, che rischia di
chiudersi in sé stessa a causa della persecuzione e della paura; via di uscita
per Pietro, che ancora all’inizio della sua missione affidatagli dal Signore
viene gettato in carcere da Erode e rischia la condanna a morte. E mentre
Pietro era in prigione, «dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una
preghiera per lui» (At 12,5). E il Signore risponde alla preghiera e manda il
suo angelo a liberarlo, «strappandolo dalla mano di Erode» (At 12,11). La
preghiera, come umile affidamento a Dio e alla sua santa volontà, è sempre la
via di uscita dalle nostre chiusure personali e comunitarie. È la grande via di
uscita dalle chiusure.
Anche Paolo, scrivendo a Timoteo, parla della
sua esperienza di liberazione, di uscita dal pericolo di essere lui pure
condannato a morte; invece il Signore gli è stato vicino e gli ha dato forza
perché lui potesse portare a compimento la sua opera di evangelizzazione alle
genti (cf. 2 Tm 4,17). Ma Paolo parla di una «apertura» ben più grande, verso
un orizzonte infinitamente più vasto: quello della vita eterna, che lo attende
dopo aver terminato la «corsa» terrena. E’ bello allora vedere la vita
dell’Apostolo tutta «in uscita» grazie al Vangelo: tutta proiettata in avanti,
prima per portare Cristo a quanti non lo conoscono, e poi per buttarsi, per
così dire, nelle sue braccia, ed essere portato da Lui «in salvo nei cieli, nel
suo regno» (v. 18).
Ritorniamo a Pietro. Il
racconto evangelico (Mt 16,13-19) della sua confessione di fede e della
conseguente missione affidatagli da Gesù ci mostra che la vita di Simone,
pescatore galileo – come la vita di ognuno di noi –, si apre, sboccia
pienamente quando accoglie da Dio Padre la grazia della fede. Allora Simone si
mette sulla strada – una strada lunga e dura – che lo porterà a uscire da sé
stesso, dalle sue sicurezze umane, soprattutto dal suo orgoglio mischiato con
il coraggio e con il generoso altruismo. In questo suo percorso di liberazione,
decisiva è la preghiera di Gesù: «Io ho pregato per te (Simone), perché la tua
fede non venga meno» (Lc 22,32). E altrettanto decisivo è lo sguardo pieno di
compassione del Signore dopo che Pietro lo aveva rinnegato tre volte: uno sguardo
che tocca il cuore e scioglie le lacrime del pentimento (cf. Lc 22,61-62).
Allora Simone Pietro fu liberato dal carcere del suo io orgoglioso, del suo io
pauroso, e superò la tentazione di chiudersi alla chiamata di Gesù a seguirlo
sulla via della croce.
Come accennavo, nel contesto prossimo del
brano degli Atti degli Apostoli c’è un particolare che può farci bene notare
(cf. 12,12-17). Quando Pietro si trova miracolosamente libero fuori dal carcere
di Erode, si reca alla casa della madre di Giovanni detto Marco. Bussa alla
porta, e dall’interno risponde una domestica di nome Rode, la quale,
riconosciuta la voce di Pietro, invece di aprire la porta, incredula e piena di
gioia insieme corre a riferire la cosa alla padrona. Il racconto, che può
sembrare comico e che può dare inizio al cosiddetto complesso di Erode, ci fa
percepire il clima di paura in cui si trovava la comunità cristiana, che
rimaneva chiusa in casa, e chiusa anche alle sorprese di Dio. Pietro bussa alla
porta: «Guarda!». C’è gioia, c’è paura… «Ma apriamo, non apriamo?». E lui è in
pericolo, perché la polizia può prenderlo… Ma la paura ci fa fermi, ci ferma
sempre! Ci chiude, ci chiude alle sorprese di Dio. Questo particolare ci parla
della tentazione che sempre esiste per la Chiesa: quella di chiudersi in sé
stessa, di fronte ai pericoli. Ma anche qui c’è lo spiraglio attraverso cui può
passare l’azione di Dio: dice Luca che in quella casa «molti erano riuniti e
pregavano» (v. 12).
La preghiera permette alla
grazia di aprire una via di uscita: dalla chiusura all’apertura, dalla paura al
coraggio, dalla tristezza alla gioia. E possiamo aggiungere: dalla divisione
all’unità. Sì, lo diciamo oggi con fiducia insieme ai nostri fratelli della delegazione
inviata dal caro Patriarca ecumenico Bartolomeo, per partecipare alla festa dei
Santi Patroni di Roma. Una festa di comunione per tutta la Chiesa, come evidenzia
anche la presenza degli arcivescovi metropoliti venuti per la benedizione dei palli,
che saranno loro imposti dai miei rappresentanti nelle rispettive sedi.
I santi Pietro e Paolo intercedano per noi, perchè possiamo compiere con gioia questo cammino, sperimentare l'azione liberatrice di Dio e testimoniarla a tutti.
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